Papà sull’orlo di una crisi di nervi
Quando scrivi sulla maternità, paternità, genitorialità ti viene da pensare:
”ma cosa posso dire io che non hanno già detto altri (magari meglio)”?
Cosa posso dire di importante visto che è il primo figlio e ancora non so niente?
eccetera eccetera eccetera…
D’altronde anche il tema in sé lo trovo così grande e vasto da averne un po’ paura: genitori efficaci, genitori di figli disabili, genitori perfetti, genitori che non sanno dire No, genitori che maltrattano, genitori che non crescono e che fanno i fratelli dei loro figli, baby-genitori, genitori normali, Papi (eh si c’è anche lui), genitori affettivi, genitori gay…
Ma cosa posso dire io che sono (sarò) un giovane papà alla sua prima esperienza con un figlio maschio e che pure non sono sposato?
Allora penso che l’unica cosa che posso fare è raccontare cosa provo e cosa ho provato, cosa penso e cosa ho pensato in questo periodo di attesa, di gravidanza lunga, e desiderata tanto con la mia compagna Roberta, che sta avviandosi alla fine.
Sperando che buttare giù sul foglio la mia storia e condividerla possa far nascere qualcosa in me di nuovo (ad esempio parlare di queste cose con la mia compagna che magari non le sa tutte) e magari servire un poco a chi la legge, non fosse il fatto di sentirsi meno pazzi; perché una cosa la sento tanto: non ho mai provato emozioni così improvvise e variegate come in questi mesi di attesa, tanto da pensare (tra le molte cose): “ma ce la farò? Non sono pazzo a pensare a queste cose belle e brutte, a provare emozioni così contraddittorie?”. E penso sia lo stesso per molti padri.
Ma partiamo dall’inizio…
Essendo un accanito lettore di fumetti mi è capitato di recente di leggerne uno in cui la protagonista accoglie in casa sua sorella probabilmente in dolce attesa e non ho potuto fare che confrontarlo con la mia esperienza. Subito mi ha irritato l’ansia con cui questa sorella tratta la gestante: sembra una malata che non deve fare sforzi e che va protetta come una statua di cristallo.
Mentre nella mia esperienza ho visto come la gravidanza abbia dato una forza sconosciuta a Roberta e come non sia una malattia (anzi a pensarci bene partorire è l’unica cosa che si fa in ospedale che non c’entra con la malattia o la morte). Ma il fumetto da “il meglio” quando bisogna fare il test; e qui mi è salita la pressione a mille. Lascia la sorella in bagno e attende in trepida attesa che esca con il responso!
Va beh che la sorella non è il compagno-padre ma io non riesco a non pensare a come noi siamo stati sì in trepida attesa, ma quei fatidici 2-3 minuti li abbiamo passati assieme seduti una sul cesso e l’altro sul bidet!
Non credo dimenticherò mai l’emozione di quel (lungo) momento quando ancora non sai se è andata o no, quando pensi “magari sono sterile” oppure “magari dopo tutto è solo un ritardo. Ma no dai!” e ti guardi con lei e sorridi e ti viene caldo e poi pensi e poi ti agiti e poi la guardi e la tranquillizzi (io!) e sorridi. Apparsa finalmente la linea giusta (di cui non ricordo il colore) l’urlo di gioia e l’abbraccione che ci siamo dati, la corsa per casa, i salti. Beh mi sentivo proprio felice e tronfio. Avevamo quello che avevamo cercato!
Da li in avanti è cominciata questa strana avventura della paternità che ancora non so come andrà a finire ma da subito ha cominciato a lavorare dentro di me.
Intanto la faccenda di non dirlo prima dei 3 mesi è stata impossibile per me. Semplicemente non resistevo all’idea di dirlo tanta era la felicità e l’orgoglio; nonostante un amico che aveva perso il figlio proprio prima del termine dei 3 mesi mi abbia sconsigliato di farlo ben sapendo della delusione che si prova quando accade.
Dire che diventi padre mi ha dato la sensazione di essermi messo al pari con la Vita, di aver dato il primo contributo alla prosecuzione della specie, della famiglia, della stirpe e di aver creato una cosa nuova (la prima) insieme alla donna che amo.
Si perché essendo figli di questo tempo non abbiamo avuto il percorso classico che si vede nei film o che leggi nei libri.
1) Ti sposi
2) Compri casa assieme
3) Fai il figlio.
Noi non ci siamo ancora sposati, la casa è della nonna (ahilei defunta) perché con i nostri stipendi part-time-precari-fintepartiteIVA-MontiForneroLetta-crisieconomica non avremmo potuto prenderne una tutta per noi, al massimo potevamo andare in affitto in un bilocale umido in aperta campagna sul greto del torrente che straripa ogni inverno…
Capite quindi quanto forte sia stato per noi (me) avere il figlio come prima tangibile, concreta, reale Cosa fatta da noi due soli, senza aiuti e, come dire, frutto dell’amore.
E adesso veniamo al punto in cui comincio a dare i numeri: tipo che tu sei un giovane che lavora ma che sta ancora studiando (con la laurea non si lavora, si sa) e, diciamocelo, non è che sei l’esempio della maturità adulta e del Buon Padre di Famiglia. Cammini per strada e improvvisamente un pensiero ti trafigge la testa: “cazzo ma io divento padre fra poco”.
E quindi pensi: niente più casa lurida e in disordine, niente più politica, niente più feste con gli amici (e alcol), niente più fare tardi la notte, niente più canne, niente più parolacce, niente più. Pensi anche che devi smettere di fumare! E poi pensi che non ne sarai capace, che magari non vuoi cambiare o toglierti una di quelle cose brutte che ti fanno sì giovane e figo ma ti rendono un padre degenere e patologico.
E allora pensi che magari qualcosa puoi tenere, forse basta che il figlio non sappia, che se c’è sporco si fa gli anticorpi, che se ti ubriachi una volta non muore nessuno, che magari qualche riunione non significa abbandonarlo, che poi c’è la mamma… Poi sei a letto che dormi e all’improvviso un pensiero ti trafigge: “cazzo ma io divento padre fra poco!” eccetera.
Io ancora non so come ne uscirò, come cambierò, se cambierò, cosa farò.
Penso che quando ci sarà il bambino si vedrà, che magari, così come finora tutti i cambiamenti sono avvenuti naturalmente, anche questi arriveranno di conseguenza…
Poi ti vengono gli immancabili pensieri da pazzo isterico per cui il peggio può accadere: ma se ha una malattia? Se nasce male? Se diventa ultras della Juve? O del Parma? Se diventa sfaccendato-parassita-bamboccione come un capogruppo al Senato? Se diventa gay o transessuale (questo non è il peggio)? Se diventa fascista (questo si)? Se diventa un fan del Grande Fratello o un Nerd? E anche qui il pensiero ti assale mentre sei a lezione, mentre sei per strada, al volante, al mercato, mentre guardi un film o leggi, nel dormiveglia.
E ancora non so proprio cosa farò, come reagirò nel caso in cui… Anche perché sono certo che al momento giusto troverà il modo migliore per farmi arrabbiare e pentire di averlo messo al mondo (l’ho fatto anche io con i miei genitori, lo ammetto); anche qui per adesso non ho soluzioni, solo la speranza intanto che vada tutto bene sul piano sanitario e poi il convincimento che, a seconda dei problemi, si possano trovare soluzioni senza che la rabbia o la delusione distruggano tutto.
Vogliamo poi parlare delle ansie legate alla madre? Ma se diventa isterico come lei, oppure così svampito? O così poco interessato alle scienze e incapace di apprendere come si cambia una ruota dell’auto? Insomma: se diventa simile a sua madre e non bello e perfetto come papà, sarò ancora capace di amarlo? Ma poi penso alle tanti doti che la madre ha che non ho io (tipo la tolleranza e la pazienza) e che, per quanto io mi creda perfetto e giusto, magari lei ha un’idea un po’ diversa della faccenda e torno al punto di partenza.
Forse avere un figlio non è avere un proprio clone ma una creatura diversa che anche se ti somiglia (forse) può prendere tante strade diverse da quelle che credi giuste e anche che come carattere può diventare proprio come le persone che più ti fanno arrabbiare.
Insomma i casi sono 2: o si abortisce alla svelta (tardi ormai e poi forse non dipende più da me questa decisione) o si accetta cosa viene fuori cercando di amarlo per come sarà. Inesorabilmente mi torna in mente (sempre quando meno me lo aspetto) quel motto che dicevo sempre agli altri: “l’hai voluto? Te lo tieni”. Uffa.
Si uffa perché la paura c’è ma c’è anche la gioia di aver creato qualcosa di nuovo e di aver voglia di cogliere questa scommessa.
Al momento non so proprio cosa pensare in questo turbine di pensieri discordanti e confusivi, non ho la soluzione a nessuno dei problemi di cui sopra e quindi l’ansia cresce. Mi conforta e calma solo la convinzione che non sono solo e che c’è un’altra persona (oltre a nonni e parentado), diversa da me, che può aiutarmi là dove non riesco. Inoltre, essendo la donna che amo, ho fiducia in lei e so di poter contare sul suo aiuto e che potrò anche discutere con lei.
Tanto la creatura che nascerà non diventerà così solo grazie (o per colpa) a noi ma farà la sua strada. Quello che noi potremo fare è dargli amore e affetto e fiducia in sè; il resto verrà poi.
Federico Toscani: papà del piccolo Leone, psicologo psicoterapeuta in formazione, educatore.